Notule

 

 

(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XV – 16 settembre 2017.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: BREVI INFORMAZIONI]

 

L’ippocampo può creare mappe cognitive dello spazio sociale. L’ippocampo è considerato il sostrato neurale delle mappe cognitive necessarie per spostarsi nello spazio circostante. Il concetto di “mappa cognitiva” è stato introdotto per indicare la forma strutturata di organizzazione delle esperienze in grado di guidare il comportamento attraverso tutti i domini della cognizione. Recenti evidenze consentono di estendere il ruolo di codifica della dimensione spaziale da parte dell’ippocampo in processi più astratti. Montagrin e colleghi del Dipartimento di Psichiatria e Neuroscienze della Icahn School of Medicine del Mount Sinai di New York hanno presentato evidenze a supporto del ruolo dell’ippocampo nella vita sociale, che possono essere così schematizzate:

1)      supporto alla memoria sociale;

2)      rappresentazione di diverse dimensioni dello spazio sociale;

3)      rilevazione del comportamento sociale dinamico;

4)      mantenimento di una mappa flessibile che consente l’adattamento a nuovi contesti sociali;

5)      comportamento di disadattamento sociale in vari disturbi psichiatrici.

[Hippocampus – AOP doi:10.1002/hipo.22797, 2017].

 

La scoperta di un’associazione fra sordità e demenza fa sperare in nuove terapie. La recente scoperta di un legame fra perdita dell’udito e demenza, sebbene siano ancora in corso le indagini sperimentali sui meccanismi fisiopatologici di tale associazione, suggerisce nuove possibilità di trattamento per il declino cognitivo. Infatti, le più recenti ed efficaci terapie per la riduzione di rilevazione e discriminazione del segnale acustico, sembrano in grado di influenzare positivamente il decorso della progressiva riduzione di abilità mnemoniche e intellettive. [Otol Neurotol. 38 (8): e237-e239, Sep. 2017].

 

Nella sclerosi multipla progressiva è implicata l’atrofia di lobuli del cervelletto. Seguiamo sempre con attenzione gli sviluppi della ricerca sul cervelletto nella sclerosi multipla; un aggiornamento viene ora da uno studio clinico. L’esame dell’encefalo mediante risonanza magnetica (RM) di 82 pazienti affetti da sclerosi multipla progressiva, sottoposti ad accurata valutazione di disabilità mediante test e comparati con un gruppo di controllo, ha consentito di porre in relazione l’atrofia cerebellare con vari aspetti della sintomatologia. In particolare, l’atrofia di specifici lobuli del cervelletto, per il loro ruolo funzionale, spiega aspetti particolari delle disabilità cognitive e motorie dei pazienti affetti da sclerosi multipla progressiva. [Cocozza S., et al. Neurol Neurosurg Psychiatry – AOP doi: 10.1136/jnnp.2017.316448, 2017].

 

Agmantina: panacea o nuovo target nella terapia della depressione? È di attualità, negli USA, la presentazione da parte di fonti divulgative molto seguite dell’agmantina come un possibile rimedio per le principali malattie neurologiche e psichiatriche, in quanto l’ammina è implicata nella fisiopatologia di tali disturbi. Fino agli anni Novanta, quando fu riscoperto il suo ruolo di ligando del recettore α2-adrenergico e di quello dell’imidazolina, l’agmantina, derivata dalla decarbossilazione dell’arginina, è stata quasi ignorata dalla ricerca. Sebbene da allora siano stati osservati numerosi effetti mediati dall’agmantina, studiati anche in prospettiva clinica, la conoscenza dell’anabolismo e del catabolismo di questa amina è ancora carente. Sono, infatti, questioni aperte la purificazione e la caratterizzazione biochimica dell’arginina decarbossilasi e della agmantinasi dei mammiferi. La soluzione di tali problemi avrà sicuramente un grande impatto, perché il sistema agmantinergico è implicato in alcune delle principali malattie del sistema nervoso centrale. In particolare, si spera che lo studio dell’agmantina nella depressione maggiore possa condurre a strategie terapeutiche diverse da quelle attualmente impiegate e potenzialmente efficaci nei casi resistenti ai trattamenti farmacologici con SSRI. [Laube G. & Bernstein H. G., Biochem J. 474 (15): 2619-2640, 2017].

 

I recettori dell’ossitocina intervengono nella motivazione sessuale nei maschi. Nei maschi di ratto è noto che l’ossitocina ha un ruolo in alcuni comportamenti sessuali, oltre che nell’eccitazione, ma una sua partecipazione agli aspetti motivazionali della sessualità non era stata finora provata. Blitzer e colleghi, impiegando un antagonista recettoriale, hanno dimostrato che i recettori dell’ossitocina sono dei mediatori fisiologici della motivazione sessuale nei maschi di ratto. [Blitzer D. S. , et al. Horm Behav. 94: 33-39, 2017].

 

I mitocondri come bersaglio farmacologico nella sindrome di Down. Causata dalla trisomia G o trisomia della coppia cromosomica 21, la sindrome di Down è associata a ritardo neuroevolutivo, disabilità intellettiva e neurodegenerazione precoce, con lesioni mitocondriali da tempo studiate. Recentemente sono stati identificati e caratterizzati vari meccanismi responsabili di danno dei mitocondri e difetto energetico in cellule provenienti da persone affette dalla sindrome e in cellule di modelli animali. Varie nuove molecole in grado di esercitare effetti neuroprotettivi, attraverso la modulazione della funzione mitocondriale e l’attenuazione dello stress ossidativo, sono attualmente disponibili o sono allo studio come farmaci per la sindrome di Down, come si legge nell’articolo di Valenti e colleghi. [Valenti D., et al., Free Radic Biol Med. - Epub ahead of print doi: 10.1016/j.freeradbiomed.2017.08.014, Aug 21, 2017].

 

Lo studio di 4707 specie di uccelli rivela il ruolo della cooperazione nell’occupazione delle nicchie ecologiche. È nozione consolidata che la vita animale in ambienti difficili per la sopravvivenza, come quelli con elevate temperature e imprevedibilità delle piogge, favorisce la cooperazione. Su questa base si è dedotto che la cooperazione sia nata nella filogenesi sotto questa pressione ambientale. Cornwallis dell’Università di Lund (Svezia), con colleghi statunitensi e britannici, ha condotto un’analisi filogenetica su 4707 specie aviarie, stabilendo che in realtà è accaduto esattamente l’inverso: la cooperazione ha preceduto l’occupazione delle nicchie ecologiche. In altri termini, un adattamento sociale del cervello aviario è stato alla base della capacità di occupare territori diversamente invivibili. Gli autori dello studio concludono che è lecito dedurre che la cooperazione abbia sempre preceduto l’affermazione territoriale di tutte le specie animali, in quanto il valore e l’efficacia dei processi cooperativi rappresentano una costante a tutti i livelli di organizzazione biologica, dalle cellule alle società umane.[Cornwallis C. K., et el. Nat Ecol Evol. 1 (3): 57, 2017].

 

L’evoluzione culturale ha sviluppato e migliorato l’evoluzione biologica. Whiten della St. Andrew University, con due articoli, uno pubblicato su PNAS USA e l’altro in pubblicazione su Interface Focus il prossimo ottobre, basandosi principalmente sulla trasmissione culturale fra gorilla, oranghi e scimpanzé, illustra come l’apprendimento da altri membri della specie estende ed espande gli scopi dell’evoluzione biologica. Un secondo “sistema ereditario”, quello culturale, integra eventi che contribuiscono al modellamento organico dovuto ai processi selettivi ed adattativi basati sulla genetica. Whiten, sottolineando l’importanza dell’evoluzione culturale nei vertebrati, ipotizza un rilievo simile per l’apprendimento sociale fra gli invertebrati. [PNAS USA – AOP doi:10.1073/pnas.1620733114.2017; Interface Focus 7(5):20160142, 2017].

 

Il tuo cervello conosce il futuro: scivolone di New Scientist. Con il titolo ad effetto, Your brain knows the future, il numero 3140 del 26 agosto scorso della rivista New Scientist ha presentato uno studio, in cui vi era una concordanza del 59.1 % fra l’attività cerebrale (in particolare del nucleo accumbens) di volontari che dovevano giudicare dei progetti e l’esito positivo con un finanziamento, considerandola come una previsione da parte del cervello. A parte che una concordanza di circa il 60% non può considerarsi una previsione, perché a rigore di termini prevedere vuol dire conoscere in anticipo e non fornire un’indicazione con oltre il 40% di probabilità di errore, si deve rilevare che il taglio conferito all’articolo di presentazione del lavoro non soddisfa alcun requisito di scientificità. Ammesso che un aumento di attività nel nucleo accumbens possa essere messo in relazione con l’analisi dei contenuti astratti del progetto (cosa non dimostrata) e che tale aumento esprima una “valutazione positiva da parte del cervello”, si dovrebbe poi spiegare in cosa consista tale valutazione e perché corrisponderebbe ai criteri presenti nella coscienza dichiarativa dei giudici che hanno deciso i finanziamenti. È ragionevole supporre che i contenuti dei progetti, ritenuti poi finanziabili, abbiano impegnato la rete che include il nucleo accumbens con una frequenza maggiore degli altri; il motivo è tutto da accertare, magari in termini di categorie cognitivo-emotive. Se fosse stata rilevata una concordanza dell’80-90% fra un pattern funzionale cerebrale ed un giudizio di valore oggettivo – o supposto tale – sarebbe stato lecito indagare la natura di tale associazione. Ma anche in questo caso, parlare di “cervello che conosce il futuro” non avrebbe avuto alcuna giustificazione scientifica.

 

Notule

BM&L-16 settembre 2017

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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